Alla fine del settecento, tra i giovani intellettuali tedeschi cresciuti nel culto di Goethe e di Schiller si fa strada la convinzione che "diagnosi" e "prognosi" di quella crisi epocale che essi raffigurano alla stregua di una "fuga degli dei dal mondo" possano darsi solo a partire da un ripensamento delle strutture fondamentali della civiltà europea. Questo cammino a ritroso li porta a fare i conti con il genere tragico, da loro considerato l'ideale presupposto per l'elaborazione di un modello di razionalità dialettico, aperto, in perenne divenire, in grado di non occultare le contraddizioni e di non eludere la sofferenza, ma anzi di adottarle quale punto di partenza della propria speculazione filosofica.