Giordano Bruno intese sempre dare di sé l'immagine dell'innovatore radicale, distruttore della fisica aristotelica e del cosmo chiuso da essa descritto. Le radici della sua critica, però, sorgono dalla radicalizzazione delle premesse epistemologiche dello Stagirita e dal confronto con la tradizione averroista e tomista, oltre che dai ben noti apporti della tradizione neoplatonica ed ermetica. Questo testo indaga le origini aristoteliche della nozione bruniana di materia nella sua fondazione ontologica, nel suo sviluppo in una teoria degli elementi che fa spazio anche al recupero dell'atomismo epicureo e nel suo peculiare rapporto con l'anima mundi, riconducendo alle giuste conclusioni quelle premesse che, secondo Bruno, Aristotele per primo tradì.