L'autore riflette sul significato di giustizia. Partendo dalle risposte che storicamente sono state date alla domanda di cosa sia la giustizia, egli individua i limiti e le obiezioni che vengono poste dai vari interpreti. Partendo da quello che viene considerato un limite negativo di chi è chiamato ad applicare il diritto e, quindi, a rendere giustizia, ovvero i giudici e la loro ideologizzazione, l'autore individua nella ideologia uno strumento utile per identificare il meccanismo attraverso il quale pervenire alla interpretazione ed applicazione della norma, della regola del diritto, e, prima ancora, alla sua elaborazione. Ma ciò non è sufficiente. Questo procedere, infatti, apre le porte ad un relativismo che non offre risposta all'esigenza di trovare appigli sicuri e forti. Da ciò la domanda su quali possano essere questi appigli. Fra inesistenti punti fermi (quindi privi di un valore assimilabile a verità) ed approcci palesemente cangianti perché espressione del relativismo dei valori (ancor più in un mondo sempre più complesso) la soluzione che l'autore individua e propone risiede nello spirito del dialogo, che porta a tenere aperta la comprensione delle ragioni dell'altro.