È necessario nel nostro tempo chiedersi non solo se nel pensiero di Jacques Derrida ci siano stati gli elementi per rintracciarvi una filosofia della democrazia, della democrazia a-venire, ma domandarsi altresì perché per Derrida sia stato importante affermare che non c'è democrazia senza filosofia, ovvero senza democrazia in filosofia, in modo da poter comprendere che la decostruzione non soltanto è alla radice democratica, ma che non si può dare decostruzione senza democrazia. Com'è noto, dopo la prima fase decostruttiva della tradizione metafisica, a partire dagli anni Ottanta del Novecento, Derrida orienta la propria filosofia sul terreno etico-politico, sviluppando criticamente una serie di temi: il dono, il perdono, l'ospitalità, l'amicizia, la comunità, la testimonianza, il segreto, il lutto, la legge, il rapporto forza/ diritto, la giustizia, la decisione, la responsabilità, la crisi della sovranità. La strategia decostruttiva è far emergere una concezione del soggetto capace di mettere radicalmente in questione ogni identità raccolta in sé, purificata dall'alterità e dall'eterogeneità. A partire da qui la scrittura filosofica dell'ultimo Derrida compie una decostruzione del politico che avvia una riflessione originale sulla questione dell'animale, della vita e del pensiero del vivente. Attraversando la frontiera dei due "sguardi" - dell'animale e dell'umano - che si protende oltre l'inquietante prossimità di questa distinzione, Derrida ci consegna nella scrittura il suo bestiario filosofico-politico con L'animale che dunque sono e La bestia e il sovrano. Di ciò si occupa questo libro di Antonio De Simone che offre una "lettura" sagittale di Derrida, un classico "eccedente" della filosofia contemporanea di cui occorre ancora raccogliere appieno la sfida della sua eredità.