La storia è il luogo in cui si giocano le sorti dell'umanità. Una scacchiera su cui, come nel film di Ingmar Bergman "Il settimo sigillo", ci si scontra con l'anticristo, che via via assume per Benjamin maschere diverse. Ogni incontro con il nemico suscita in chi è vigile un contraccolpo che lo scuote dal torpore del sempre-uguale, per immetterlo in uno specifico tempo-ora, nel quale si decide del carattere reazionario o rivoluzionario (anche nel senso della salvezza teologica) del nostro presente-futuro. Come fosse un'istantanea fotografica che sospende la dialettica storica, spezzando il circolo vizioso dell'acedia e della rassegnazione. Questo tempo iconico, per essere compreso, necessità di un'"utilizzazione artistica" che, come avviene esemplarmente nel cinema, sconfina nella penetrazione politica degli eventi. Il suo dispositivo è il sollevare l'eccezione autentica, il solo in grado di scardinare ogni regola e legge per acquisire un nuovo punto di partenza, atto a sconfiggere il nemico di turno. Quest'ultimo, affrontato in qualsiasi altro modo, non smetterà mai di vincere e a nulla servirebbe rimandare la partita con la morte.