Benedetto Croce il 2 settembre del 1908 partecipò ad Heidelberg al terzo Congresso Internazionale di Filosofia e vi tenne la conferenza: "L'intuizione pura e il carattere lirico dell'arte". Con la lavorata e conquistata chiarezza che contraddistingue la sua scrittura e il suo pensiero, il filosofo napoletano approfondiva la sua Estetica come scienza dell'espressione e linguistica generale che, pubblicata nel 1902, sembrava battezzare il secolo. "L'intuizione pura - notava -, non producendo concetti, non può rappresentare se non la volontà nelle sue manifestazioni, ossia non può rappresentare altro che stati d'animo. E gli stati d'animo sono la passionalità, il sentimento, la personalità, che si trovano in ogni arte e ne determinano il carattere lirico". La conferenza fu considerata da Croce la "prima integrazione" del suo pensiero estetico e fu pubblicata in apertura del volume del 1910 "Problemi di estetica e contributi alla storia dell'estetica italiana". Oggi, a distanza di un secolo abbondante dalla conferenza di Heidelberg, la concezione estetica di Croce, nota nel mondo, non solo è classica ma ci viene incontro per capire meglio la nostra condizione di esseri che pensano, sì, ma che pensano perché ripassano eternamente nel mondo della fantasia: "L'arte, la poesia, l'intuizione ed espressione immediata è il momento della barbarie e ingenuità, che ricorre perpetuamente nella vita dello spirito: è la fanciullezza non cronologica, ma ideale. Ci sono barbari e fanciulli assai prosastici, come ci sono spiriti poetici della più raffinata civiltà; e la mitologia di quei fieri e fantastici giganti, los Patacones, di cui parlava il nostro Vico, o dei bons Hurons, di cui si parlò poco di poi, si deve considerare tramontata per sempre".