La visione e il linguaggio, la figura e il discorso, la percezione e la descrizione. E su tutti un altro binomio di opposti complementari: la parola e l'immagine. È su questo tavolo che la critica e la storia dell'arte giocano la loro posta più alta: la riformulazione verbale dell'immediatezza visiva dell'opera. Sul tragitto che va dall'occhio alla pagina, l'autore incontra tra gli altri Roberto Longhi e Jacques Derrida, Michel Foucault e Aby Warburg, Erwin Panofsky e Cesare Brandi, Leonardo e Conrad Fiedler. Ma l'arte può interpretare se stessa e fare a meno della critica e del suo linguaggio fatalmente infedele? Ecco allora i passaggi moderno-contemporanei dell'arte concettuale e del citazionísmo. Anche l'attività di restauro, l'esperienza del «critofilm», la prassi espositiva sono modalità dell'intervento critico, che però fanno a meno dello strumento linguistico. Si disegna così un ampio orizzonte di temi e motivi che possono riassumersi in un'unica, paradossale domanda: se parlare e vedere non sono la stessa cosa, se ciò che si vede non sta mai in ciò che si dice, se la descrizione mai ci restituirà tutto ciò che la percezione ci fornisce, la critica d'arte è davvero possibile? O forse non sa quello che dice e dice quello che non sa? In questa seconda edizione aggiornata, il lettore troverà un nuovo capitolo e un «Epilogo Proust».