"Ma per che cosa siamo fatti? Per la terra o per il cielo? Oppure per l'una e per l'altro? Com'è possibile fare chiarezza su questa tensione di stati d'animo e di desideri contrastanti? L'autore accompagna per mano il lettore a comprendere come si sia approdati alla separazione di "felicità" (la terra) e "beatitudine" (il cielo). Il malessere che ne è derivato reclama, anche oggi, il ricongiungimento dei due ideali. Non c'è tema più affascinante della "felicità". Esso attraversa tutti i secoli dell'umanità nelle diverse culture e in tutte le religioni del mondo. Qui l'attenzione è posta sullo sviluppo di tale tematica in un particolare periodo storico dell'Occidente cristiano, quando la ricerca della felicità si è determinata in modo puramente terreno-orizzontale, dimenticando che l'essenza della felicità vera, quella proposta dal vangelo, non riguarda semplicemente un benessere comunitario e una condizione di eguaglianza che tolga i conflitti tra gli uomini, ma consiste in quella "beatitudine" soprannaturale in cui si compiono le aspirazioni di ogni essere umano. L'autore si prefigge di ricercare le ragioni storico-culturali di tale netta divaricazione tra "felicità" e "beatitudine": un fenomeno che qualifica l'età moderna, a partire dall'umanesimo del Quattrocento fino ai tardi sviluppi dell'illuminismo tedesco. L'affermazione dell'umano non sempre e non necessariamente ha escluso ciò che è tipico del cristianesimo, così come l'affermazione del destino soprannaturale dell'uomo non sempre ha negato l'importanza irrinunciabile della felicità terrena. La chiarificazione degli equivoci su cui si regge la contrapposizione tra "meramente umano" e "propriamente cristiano" costituisce il fascino che percorre la dialettica di questo libro.