L'idea che attraversa tutti gli scritti filosofici di Mario Rossi, anche quelli storiografici, è che la scienza e la cultura siano interne all'istanza pratico-operativa dell'uomo. Siano, cioè, sue funzioni storiche, vale a dire "attuazioni storiche, determinate e operativamente specificate, dell'attività di autoproduzione umana". Su questa base, egli proponeva un funzionalismo storico come interno a un umanismo operativo, nella convinzione che la cultura fosse inestricabilmente legata all'azione trasformatrice dell'uomo. Ma queste due sfere vitali entro le quali si dispiega l'esistenza degli uomini ("cultura" e "rivoluzione") non costituivano affatto per Rossi i termini di un binomio di cui il filosofo-ricercatore dovesse esaminare, dall'esterno, in modo neutro, disinteressato e distaccato, il rapporto "oggettivo", come si fa quando si compie un esperimento scientifico in laboratorio. Rossi non credeva alla possibilità di un simile distacco, o disinteresse, per la semplice ragione che, a suo avviso, "la cultura" siamo noi, e "la rivoluzione (a meno che non abbiamo voglia di scherzare, su questo e su tutto il resto) anche".