Il tempo in cui viviamo pone questioni ardue e smisurate, che esigono, per essere comprese fino in fondo, di essere ricondotte alla loro radice storica e filosofica. Può lo spaesamento dell'uomo contemporaneo essere sintomo di una crisi che attraversa la storia dell'Occidente e che si conclude con la morte del bene? Quel bene che gli antichi avevano congiunto con l'essere nell'ideale della vita buona e che oggi sembra nient'altro che un cimelio della filosofia. Non si tratta però di avallare l'illusione di un ritorno al passato: gli sviluppi delle scienze e il dominio incontrastato della tecnica hanno vanificato ogni soprassalto nostalgico. Se l'esigenza del bene torna oggi a interpellarci sotto forma di una domanda di salvezza della Terra tutta, serve un cambio di paradigma, una nuova, coraggiosa teoria della prassi in cui il bene non appaia più come il senso garantito dell'esistenza, ma come l'evento imprevisto, irriducibile a ogni calcolo, che scompagina l'ordine dell'esistente e rimette l'uomo al centro del dramma della libertà. Un'etica nuova, all'altezza delle sfide attuali, potrà sorgere solo da una nuova cognizione del bene.