Il dibattito intorno all'antropocene intercetta e rilancia una sfida nata nel cuore della modernità con l'avanzare di una postura antropocentrica, che rivendica un primato dell'uomo sulla natura in nome di un sapere che è anche potere. Rispetto a questa sfida, riproposta su basi diverse dalla crescita impetuosa della tecnoscienza, il paradigma antagonista del biocentrismo rifiuta al contrario ogni dualismo di soggetto e oggetto, invitando a guardare anche l'umano con gli occhi della natura, ma rischiando in questo modo di smarrire il senso e il valore della "differenza personale". Una svolta in questo altalenante "tiro alla fune" può venire soltanto dallo sguardo relazionale di cui è capace la persona umana, in modo da ripensare l'unità plurale del cosmo e accreditare un'articolazione unitaria e solidale delle differenze. Nella prospettiva di una "euristica della fragilità" possono dischiudersi autentici orizzonti di fraternità planetaria, che la coscienza personale riconosce e traduce nel primato della responsabilità e della cura.