Da Cassiodoro a Carlo Magno a Dante, da Tommaso Campanella a Manzoni: sono sedici secoli che filosofi, politici, storici, teologi, letterati leggono "La città di Dio" di sant'Agostino subendone il fascino e l'influsso. Scritta tra il 413 e il 427, quest'opera monumentale nasce all'indomani del Sacco di Roma sia per confutare le accuse dei pagani, che attribuivano ai cristiani la responsabilità della caduta della Città Eterna, sia per confortare i cristiani sgomenti. La tragedia dell'invasione dei Visigoti diventa infatti per Agostino un evento nodale, che gli permette di rileggere l'intera vicenda dell'umanità da un punto di vista più ampio, utilizzando l'immagine delle «due città», quella di Dio e quella di questo mondo, realtà nelle quali l'aspetto storico e quello escatologico sono inscindibilmente legati. Come scrive Domenico Marafioti nell'Introduzione, « La città di Dio è uno di quei libri che non passano con il tempo, ma attraversano i tempi e illuminano il futuro. Scritta in un momento di passaggio tra l'antichità e il Medioevo, può ancora insegnare qualcosa al nostro tempo, in cui forse si vive un analogo trapasso di civiltà».