Questo studio parla di pragmatica, lo studio del linguaggio dal punto di vista degli utenti e dei contesti alla luce di ciò a cui il linguaggio serve, ciò che si fa con il linguaggio. Sostiene la pragmatica sia necessaria per capire come funziona il linguaggio giuridico e che per compiere uno studio pragmatico soddisfacente del diritto occorre discutere due tesi molto generali. Una prima tesi è che la pragmatica (giuridica) non sia solo lo studio dei contesti particolari, peraltro utilissimo. Oltre a tale micro-pragmatica occorre occuparsi anche di cosa ciascun linguaggio serve a fare nel suo complesso. È proprio questa macro-pragmatica che ci permette di distinguere tipi di linguaggio, di dare un senso alla distinzione tra linguaggio della scienza, ordinario, tecnico, linguaggi artificiali. Sono linguaggi diversi perché servono a scopi diversi e si pongono in modo diverso verso i loro utenti. Questo spiega anche differenze semantiche e sintattiche che altrimenti rimangono misteriose, prima di tutte come mai alcuni linguaggi sono "difficili". La seconda tesi è che sul piano macropragmatico il linguaggio giuridico non è né linguaggio ordinario (da cui pure trae "in prestito" quasi tutti i suoi elementi semiotici) né un linguaggio tecnico come quello delle scienze (al cui rigore pure aspira).