Il problema dell'acquisto (e specialmente dell'acquisto c.d. diretto) del possesso da parte del pupillo è fra i temi più controversi dell'immensa letteratura sul possesso romano, nonché fra i più interessanti, a un tempo, soprattutto in ragione dei suoi rapporti con le gravi questioni - oggetto di un dibattito storiografico ancora aperto - concernenti l'origine e il ruolo dell'animus possidendi. Alla dottrina più recente, principalmente a partire da un denso e stimolante saggio di Salvatore Tondo (già degli inizi degli anni '60 del secolo scorso), va il merito di averne rinnovato l'esame nel quadro generale di una mutata impostazione metodologica, non più pesantemente condizionata, come in passato, dagli eccessi della critica interpolazionistica. Si tende così, ormai, ad abbandonare l'idea, un tempo dominante, di un profondo divario fra il regime classico e quello giustinianeo; e ciò a favore della prospettiva dell'esistenza di un ius controversum fra gli stessi prudentes. D'altra parte, però, la ricostruzione delle divergenze di pensiero e dei precisi orientamenti della giurisprudenza dall'ultima età repubblicana alla fine del Principato - l'arco di tempo a cui si riferiscono in massima partele nostre testimonianze sul tema - non è pacifica fra gli studiosi e resta spazio per ulteriori riflessioni. Qui esporremo su basi esegetiche la nostra opinione concentrandoci sul punto più discusso in argomento: quello della necessità o meno dell'auctoritas tutoris in rapporto al grado dello sviluppo intellettivo dell'impubere.