Il volume ricostruisce il contributo offerto dai giuristi toscani - tra questi Lorenzo Collini, Giovanni Carmignani, Girolamo ed Enrico Poggi, Francesco Forti, Giuseppe Cosimo Vanni, Napoleone Pini, Vincenzo Salvagnoli, Celso Marzucchi, Ferdinando Andreucci, Giuseppe Panattoni - alla costruzione di un diritto per l'agricoltura nella Toscana dell'Ottocento, un'esperienza giuridica comprensibile nella 'lunga durata', percepita e sostenuta come «diversa» anche alle soglie dell'introduzione del codice civile italiano. Già nel 1808 l'Accademia dei Georgofili opponeva con successo la giurisprudenza patria e le liberalizzazioni dell''iconico' Pietro Leopoldo al tentativo di Napoleone di introdurre un Project de code rural nella Toscana francese. Il codice rurale si sarebbe rivelato 'impossibile', con l'eccezione dei Principati di Lucca e Piombino, mai ricordati nel dibattito della Restaurazione; da allora l'Accademia dei Georgofili era un ponte tra la cultura giuridica ed istituzionale toscana, fino all'Unità terra di ius commune, e quella d'oltralpe. I 'giuristi-economisti-politici' credevano che la «potenza dello Stato» dipendesse dalla «cultura delle terre»; si impegnavano in Discorsi al pubblico - ai Georgofili, il Vieusseux, l'Accademia dei Nomofili - ed in ampie opere teorico-pratiche, coniugando diritto ed economia in vista di un «progresso per l'agricoltura» e dunque per la società, alla ricerca del legame «dati legali, dati sociali». Intendevano offrire un 'sapere utile' come contributo 'civile', tra proposte di «buone dottrine» e di un 'pedagogico' «codice rurale», per istruire i «campagnoli». Nell'ambito dei contratti agrari meritavano un'attenzione particolare i «livelli di Toscana», irriducibili alla dimensione contrattuale individuale, piuttosto «pubblica istituzione». Per questo profilo di identità di «toscana cittadinanza» si poneva il tema dell'aggiornare il celebrato sistema livellare leopoldino «al paragone dei tempi», verso un contrastato processo di affrancazione generale. Sul piano 'costituzionale' era chiara la percezione del legame tra proprietà fondiaria, «amministrazioni economiche», «poteri politici»; la «libertà della terra» era indicata come l'architrave del «diritto pubblico della nazione».