Lo studio offre un percorso argomentativo inedito per dimostrare come la nullità si proponga quale strumento non solo demolitorio ma, in tutti i casi in cui l'atto rifletta interessi leciti e meritevoli, viepiù conformativo della sua efficacia; come cioè rimedio complesso, referente dei principi di effettività, adeguatezza, proporzionalità e del canone di ragionevolezza. Il che è evidente in modo particolare in ambito contrattuale. Punto di partenza è costituito da un duplice chiarimento. Il primo volto a svelare l'equivocità della comune spiegazione della formula consegnata all'art. 1419 c.c. e in particolare del riferimento ad un fenomeno di propagazione della nullità dalla parte al tutto. Il secondo finalizzato a dimostrare la fallacia del dogma di simmetria tra area del vizio e area della nullità. Chiarito che la nullità è altro rispetto al rilievo della natura e della misura del vizio, può essere recuperata la sua dimensione squisitamente rimediale, di intervento al servizio e della legge e dell'autonomia negoziale. Il giudizio di nullità non va inteso solo come sanzione degli interessi illeciti o immeritevoli, se, com'è naturale, questi sono inseriti in un complesso regolamento che riflette anche un valore da tutelare, di talché lo stesso non può svolgersi in modo meccanicistico, senza dar luogo ad una risposta insufficiente o ultronea, dunque inadeguata. Superando così anche l'idea di qualificazione negativa, il giudizio di nullità manifesta la sua natura di strumento composito, all'un tempo, negativo e positivo, dunque di "giusto rimedio", naturalmente conformativo della potenza effettuale, da riplasmare in modo che siano congruamente combattuti gli interessi riprovati e adeguatamente soddisfatti gli interessi leciti e meritevoli di tutela investiti nell'operazione negoziale.