Quando Stefano Rodotà si apprestava a scrivere il suo libro sulla responsabilità civile il panorama offerto da dottrina e giurisprudenza in questa materia era abbastanza deludente, se la si raffronta con le ponderose trattazioni su obbligazioni e contratti, proprietà, famiglia e successioni di quell'epoca. La dottrina costituiva il primo - e più importante - riferimento dei commentatori, poiché nella cultura dell'epoca prevalevano la dogmatica, l'indirizzo esegetico, il metodo formalista. La giurisprudenza era rilevante nella prassi, negli atti giudiziari predisposti dagli avvocati e nei provvedimenti dei giudici, ma raramente veniva citata nelle opere dottrinali, essendo il comune sentire orientato a considerare l'attività giudiziale come meramente interpretativa e applicativa, e perciò priva di spunti innovativi, meritevoli di analisi e tanto meno di essere considerata vincolante. Ricorrendo al metodo comparatistico e applicando direttamente le disposizioni della Costituzione ai rapporti tra privati Rodotà scardina i dogmi allora imperanti ed innova il sistema consentendo l'estensione dell'area degli interessi protetti e promuovendo una più equa valutazione del danno ingiusto. L'incidenza di questo libro di Stefano Rodotà sulla dottrina e sulla giurisprudenza è stata immensa, e lo si può rilevare dalle opere dei Colleghi e degli allievi che ad esso fanno costante riferimento. Di qui l'opportunità di predisporre la ristampa anastatica del libro, essendo divenuto prezioso ausilio per la ricerca e per l'attività professionale.