La Costituzione di uno stato civile deve garantire il diritto a manifestare il proprio pensiero, alla salute, all'istruzione, le libertà personali, la presunzione di non colpevolezza, non la possibilità di rinunciare a un diritto. Nonostante non ce ne fosse alcuna necessità, con la c.d. riforma sul giusto processo è stata prevista al più alto livello delle fonti la possibilità per l'imputato di rinunciare al diritto di partecipare alla formazione della prova. Sebbene la deroga del consenso non sia problematica a livello costituzionale, lo può diventare nel momento in cui il legislatore esercita la discrezionalità della quale gode in modo poco ragionevole. Così è accaduto. Il numero di procedimenti speciali, già eccessivo nell'impianto originario del codice Vassalli, è stato costantemente aumentato. Dopo un decennio d'applicazione, preso atto del mancato conseguimento dei risultati sperati, anziché rivederne il numero e la struttura, sono state introdotte nuove varianti, giungendo alla duplicazione o alla triplicazione dei modelli, con un continuo potenziamento dei benefici allo scopo di aumentarne l'appeal. Nella convinzione che la sorte della giustizia penale dipendesse da essi, il codice del 1988, non conciso sin dalla prima formulazione, ha lasciato spazio a un testo legislativo fluviale, a una congerie normativa in cui tutto s'avviluppa. Che i procedimenti speciali fossero una parte del problema della giustizia italiana, non un contributo alla soluzione, è un pensiero che non ha sfiorato la mente dei riformatori, sempre convinti che un intoppo nella realtà potesse essere risolto con una nuova disposizione nel codice. È necessario rivedere questa scelta di politica legislativa, anche per evitare che prendano piede istituti inconciliabili con i principi del diritto e del processo penale.