L'idea che lo "scrivere" richiesto a pena di nullità di un contratto non possa che integrare una forma ad substantiam actus (artt. 1325 n. 4, 1418, 2° comma, c.c.) sembra quasi costituire un dogma attraverso il quale viene decodificata ogni realtà documentale. L'invito che si presenta in queste pagine è di provare a sottoporre a nuova verifica i limiti di possibilità e validità dei presupposti logici e assiologici sui quali è stato costruito questo rassicurante convincimento. Si tratta, in particolare, di rovesciare la prospettiva abituale, sottraendo le fattispecie esaminate all'idea che si tratti di mere proiezioni (o estensioni) dei vincoli di "forma": i benefici che ne deriveranno non sono pochi dal punto di vista sistematico, né poco rilevanti dal punto di vista pratico. La posta in gioco è l'esatta comprensione del fenomeno che, ormai da decenni, si sta sviluppando sotto i nostri occhi. Il riferimento è alla possibilità di riconoscere il documentalismo che governa il nuovo diritto dei contratti; ossia un fenomeno in cui i documenti sono chiamati a svolgere un ruolo inedito rispetto al passato, quantomeno nella portata che è dato sempre più spesso constatare nella legislazione speciale. L'indagine su questa lenta ma chiara mutazione assumerà come punto di osservazione la riflessione sulle nullità documentali; figure rispetto alle quali si pone forse più vistosamente, rispetto ad altre, la difficoltà di tracciare un profilo documentale che possa dirsi autonomo rispetto alla disciplina positiva della «forma scritta» intesa in senso tecnico-giuridico.