Quando si allude al fenomeno della condivisione digitale nell'ambito dei social network si è, ormai, soliti analizzarne tanto la dimensione prettamente "fisiologica" quanto il risvolto irrimediabilmente "patologico". Nel primo caso, il rinvio è alla "socializzazione sinallagmatica" che si instaura tra gli internauti nello svolgimento di quotidiani atti di consumo o nella semplice manifestazione di opinioni sul web. Nel secondo, invece, ci si riferisce all'illegittima replicabilità in rete di dati personali altrui, ai casi di pubblicità occulta di un prodotto da parte di un influencer o alla divulgazione di contenuti illeciti, come hate speech e fake news. Da questa distinzione prende le mosse il presente lavoro che si prefigge l'obiettivo di analizzare, tra problemi globali e soluzioni locali, rischi e tutele nella profilazione del consumatore digitale nel prisma dell'analisi comparatistica, nonché i limiti alla libertà - negoziale e di espressione - nel contesto globale della sharing economy. Ponendo a confronto le diverse esperienze giuridiche rispetto alle ultime frontiere dei fenomeni pubblicitari, ci si è altresì interrogati sulla responsabilità del social network provider ogniqualvolta ometta di contrastare i cc.dd. "danni da condivisione digitale", connotati da "persistenza" e "viralità". Sono, d'altronde, le componenti strutturali della rete ad agevolare messaggi ostili, aumentandone di conseguenza le potenzialità lesive per effetto di un semplice like, di un tweet, di una condivisione, quindi dell'infinita replicabilità e dell'agevole veicolabilità dei contenuti illeciti.