Di fronte alla scelta del legislatore di dirigere la domanda di giustizia dalla giurisdizione statale alla regolazione privata, sia disincentivando l'accesso alla prima che fornendo alla seconda elementi di agevolazione e celerità, occorre interrogarsi sul grado di effettività della tutela dei diritti del lavoratore nel nuovo assetto giuridico caratterizzato dall'abbattimento dei livelli di protezione del lavoro e di compressione degli spazi di tutela giudiziale. Se la Carta costituzionale, prendendo atto della contrapposizione tra capitale e lavoro, incarica la Repubblica di correggere lo squilibrio di poteri e di opportunità tra le parti attraverso meccanismi redistributivi e di implementazione dell'uguaglianza sostanziale, l'accesso a forme alternative di risoluzione delle controversie, pur nell'ambito di una complessiva asistematicità e a tratti incoerenza della disciplina, potrebbe costituire invero una ulteriore via di implementazione dell'effettività dei diritti dei lavoratori. Per altro verso, una disciplina in materia di conciliazione e arbitrato ispirata ai canoni della chiarezza sistematica e della semplicità tecnica, nonché corredata da disposizioni finanche migliorative della tutela dei diritti del lavoratore, appare la condicio sine qua non per rendere tali strumenti all'altezza del compito affidato. In questo contesto, i principi fondamentali delineati dalla Costituzione repubblicana dovranno continuare a costituire la base giuridica essenziale della regolazione dei diritti sostanziali e della relativa tutela giurisdizionale e negoziale, affinché il diritto del lavoro possa continuare ad essere un effettivo baluardo di difesa solidaristica delle persone dalle logiche altrimenti disgreganti del mercato. Prefazione di Alessandro Bellavista.