Al pari della libertà personale, la libertà di associazione è pietra angolare delle società democratiche avendo accompagnato, lungo le varie epoche, nel corso dei secoli, sotto diversi regimi e sistemi politici, tanto la nascita e lo sviluppo delle potenzialità relazionali dell'individuo quanto il grado di maturazione democratica di un ordinamento. Per queste ragioni, storicamente, ha avuto una vita complessa; sebbene, a partire dal secondo dopoguerra, dopo l'esperienza dei totalitarismi, la libertà di associazione sia divenuta patrimonio comune del costituzionalismo che rinasceva e, oggi, sia cardine e parametro principale di tutte le Carte e le Dichiarazioni internazionali dei diritti, oltre che elemento qualificante anche dell'agire di molti soggetti internazionali. Tuttavia, la crisi generalizzata del sistema rappresentativo nelle nostre democrazie e del valore stesso del pluralismo in sé - che tocca oggi addirittura alcuni dei Paesi dell'Unione europea - ha indebolito progressivamente anche i tradizionali soggetti e gli strumenti dell'associarsi. Si può rispondere a questo problema anche dando valore rinnovato alla libertà di associazione, a maggior ragione in una nuova dimensione europea, tramite il metodo e le tecniche del diritto comparato? Questa è la domanda di fondo che sottende questo studio che, articolato in quattro capitoli, mira da un lato a rintracciare ed evidenziare gli elementi utili per far emergere un filo conduttore comune europeo dell'associarsi per come è stato concepito e realizzato, a livello costituzionale, negli ordinamenti europei e nella stessa Unione, tenendo in conto pure dell'esperienza statunitense, posta a confronto. E, dall'altro, a valorizzare le linee di tendenza evidenziate verso un modello comune europeo.