Della più grande delle sue imprese, la spedizione di Sicilia, Garibaldi amava ricordare che se "non avesse avuto degli uomini anfibi essa sarebbe stata impraticabile". E in effetti le sue doti strategiche e militari si fondano sulle sue radici marinare, sull'abitudine all'osservazione, alla cura del dettaglio, alla capacità di gestire equipaggi compositi e difficili. Tra il 1850 e il 1854 l'Eroe dei Due Mondi viaggia in America Latina e in Estremo Oriente, dapprima come passeggero, a bordo di piroscafi affollati dai cercatori d'oro della California sulla rotta da New York all'Istmo di Panama. Poi attraversa l'Oceano Pacifico, da Callao in Perù sino a Canton in Cina, al comando di un veliero carico di guano all'andata e di tè, stoffe e merci varie al ritorno. Infine, trasporta rame e lana dal Cile a Boston sulla rotta di Capo Horn, per poi giungere a Londra e infine a Genova. Di questi viaggi resta un diario di bordo scritto di sua mano, fitto di calcoli e di annotazioni sulla rotta, sui venti o sullo stato del mare, di nomi di porti, isole e scogli ormai lontani dalla geografia e dalla storia odierne. Il manoscritto, rimasto quasi sconosciuto agli studiosi, si rivela un documento di grande interesse per ricostruire un periodo in cui Garibaldi cercò di "riprendere la mano" al mestiere del mare, dopo anni in cui aveva impugnato più la spada che il sestante.