"Tutto il suo corpo esprime ciò che vuole lo spirito: ha la bellezza degli affreschi e delle statue antiche": nel 1911 il grande scultore Auguste Rodin aveva già capito che il giovane ballerino appena applaudito nei panni di un fauno, con la "semi-incoscienza di un animale" e una carica erotica senza precedenti, era forse il più grande artista che la danza avesse mai espresso, e tale sarebbe rimasto per le generazioni a venire. Ma se il passaggio di Nijinsky ha rappresentato un'esplosione di energia e sensualità tale da dividere ed entusiasmare le folle dei grandi teatri, la sua carriera fu straordinariamente breve: fra il debutto e l'abbandono delle scene passarono poco più di dieci anni. Sul suo talento gravava l'ombra della schizofrenia, e un intenso ma distruttivo rapporto con il suo mentore e amante, il grande impresario Sergej Djagilev, non fece che accelerare le cose. Il libro di Lucy Moore racconta la storia di questa vita spezzata in due, seguendo una parabola che comincia alla Scuola imperiale di danza di San Pietroburgo nei primi anni del Novecento, passa dall'immenso successo dei Balletti Russi nella Parigi di Proust, Cocteau e Debussy, dal matrimonio con una giovane contessa ungherese, Romola de Pulszky, fino all'improvviso tracollo dell 917, a soli ventisette anni. Ne seguiranno altri trentatré, persi nelle tenebre della psicosi, fra ricoveri e momentanee riprese.