«Ma se la radiosa luce che una volta, tanto brillava negli sguardi è tolta, se niente può far che si rinnovi all'erba il suo splendore, e che riviva il fiore, della sorte funesta non ci dorrem, ma ancor più saldi in petto, godrem di quel che resta». Dai celebri versi dell'Ode all'immortalità di William Wordsworth, Elia Kazan ("Un tram che si chiama Desiderio", "Viva Zapata!", "Fronte del porto", "La valle dell'Eden") ha tratto quello che molti considerano il suo film migliore insieme a "Il ribelle dell'Anatolia" e uno dei più bei film d'amore realizzati a Hollywood. Ma anche un film sul tempo, «questa oscura degradazione e metamorfosi che rende estranei una coppia d'innamorati» (Jacques Rivette). Warren Beatty vi esordisce sullo schermo; Natalie Wood non sarà mai più così bella, così in fiore; e la sequenza finale, che Kazan considerava la propria cosa migliore senza capirne bene il perché, è il culmine creativo del suo cinema e uno dei momenti più alti del cinema americano.