«L'inconscio, quale luogo dell'irrappresentato, può consentire nello spettatore lo sviluppo di rappresentazioni creative e simboliche, delle quali l'opera cinematografica funge da levatrice. Ciò accade in quel luogo della mente che ho chiamato inconscio filmico». Punti di partenza del volume sono le nuove concezioni della psicoanalisi relative all'inconscio non rimosso, al sogno, alla traduzione, ma anche gli apporti della filosofia (all'ermeneutica di Ricoeur l'autore riserva un'attenzione particolare), e i contributi di registi, teorici del cinema (i formalisti russi, Barthes, Deleuze, Metz, Pasolini, Tarkovskij), dell'arte e della letteratura. Spesso si va al cinema con l'idea di uno spettacolo di intrattenimento o per lasciarsi trasportare da emozioni intense che "mettono a riposo" il pensiero, mentre si attivano conflitti, difese e pulsioni, capaci di prendere possesso dello spettatore grazie ai processi di identificazione. A sua volta, una visione più distanziata fa del film materia di un lavoro interpretativo e analitico. Ma le interpretazioni, indipendentemente dalla loro raffinatezza, possono rivelarsi riduttive rispetto alla intraducibilità dell'immagine. Il grande cinema è però anche capace di attivare una "terza via": la trasformazione emozionale. Questa nasce soprattutto nel dialogo tra l'opera filmica e l'inconscio non rimosso dello spettatore. L'inconscio, quale luogo dell'irrappresentato, può consentire lo sviluppo di rappresentazioni creative e simboliche, delle quali l'opera cinematografica funge da levatrice. Ciò accade in quel luogo della mente che l'autore ha chiamato inconscio filmico.