Nel corso della sua lunga carriera Marco Bellocchio ha saputo trovare uno stile, un linguaggio adeguati ai contenuti sempre attuali, sempre contro le istituzioni, in tutte le loro ramificazioni possibili (prigioni, manicomi, case di riposo, uffici statali, caserme ecc.), come un anarchico in lotta contro lo Stato e la sua violenza antiproletaria prima, oggi forse anti-giovanile, ma sempre palesemente anti-immigrazione). Un regista diverso, con una visione chiarissima del proprio lavoro, che ormai conosce alla perfezione, e che fa oggi un cinema che va sempre in direzione ostinata e contraria (proprio come certi cantautori di un tempo, ma ancora/sempre up to date), un uomo di spettacolo che non assume più posizioni ideologiche nette, immobili, incontestabili perché convinte di possedere la verità in esclusiva. Un regista che ha potuto talvolta far scambiare i suoi film per dei film a tesi, ma che, in fondo, oggi firma opere che sono la stessa cosa di quelle girate e montate un tempo, solo che attualmente esse si esprimono in forme più complesse, più riflessive, meno aprioristiche, forse meno "rivoluzionarie", ma più disponibili alla discussione (perciò più umane?).