Accanto ai testi di Belá Balázs, Pudovkin ed Ejzenstejn, "Film come arte" di Rudolf Arnheim è un classico nella storia delle teorie sul cinema. L'autore parte da una delle più diffuse obiezioni, con cui si contestava al cinema ogni possibilità artistica: è una mera riproduzione meccanica della realtà, si diceva, per sua natura negata a ogni raggiungimento creativo. La serrata analisi di Arnheim mostra esattamente il contrario: il cinema non ha nulla di naturalistico, l'immagine filmica differisce da quella reale. Sono proprio questi «fattori differenzianti» a costituire i «mezzi formativi» del cinema, i suoi mezzi artistici: ad esempio, quei «salti di tempo e di spazio» che il film ha in comune con tutta l'arte moderna. "Film come arte" unisce al grande saggio che gli dà il titolo una serie di scritti sul cinema che vanno dal 1932 al 1938. Con uno scritto di Guido Aristarco.