di Luca Bonifacio
Indipendentemente dalla materia di studio affrontata, chiunque si sia ritrovato nella vita a scrivere una tesi, un saggio, un articolo da cinquant'anni a questa parte si sarà imbattuto - magari anche inconsciamente - in un pensiero o in un'espressione formulati da Marc Augé. Di base, chiunque abbia voluto affrontare e approfondire la complessità del mondo in cui viviamo si sarà sicuramente imbattuto in uno dei suoi scritti.
Africanista di formazione, etnologo, antropologo, scrittore e filosofo francese di fama mondiale, Marc Augé ha saputo travalicare spazio, tempo e società creando un filo rosso che portava sempre la sua firma indistinguibile. Ma il suo più grande merito è stato soprattutto di aver saputo rendere labile e poroso il confine tra tutto ciò che divide scienze dure da scienze molli, traducendolo poi in chiarissima forma scritta nei suoi libri, a cui Elèuthera e Raffaello Cortina Editore hanno dedicato parte rilevante del loro catalogo.
Unendo una soggettività necessaria a un'oggettività scientifica, Augé ha saputo cogliere il singolo in un ampio cerchio fatto di individualità e collettività. Basti pensare a Un etnologo nel metrò, dove il simbolo della modernità e del viaggio moderno diventano ponte, metro di paragone per studiare l'umanità da vicino e nella sua più stretta intimità. Oppure il più famoso Nonluoghi, dove contesti relazionali privi di memoria e passato, quali supermercati o grandi magazzini, si erigono a emblemi della condizione, nonché di alienazione dell'individuo solitario, anonimo, indistinguibile.
Sono nonluoghi che hanno richiamato il corrispettivo concetto di nontempo in Che fine ha fatto il futuro?, dove la perdita di speranza legata al tempo futuro, e la conseguente immobilità del tempo presente, vengono rielaborate attraverso un prisma chiamato globalizzazione.
L'antropologo della vita quotidiana ha quindi allargato il suo campo d'azione a contesti alieni e insoliti ai comuni oggetti di indagine etnologica, aprendo la via non solo a importanti studi comparati, ma anche e soprattutto alla necessità della letteratura e dell'esperienza intima e personale per l'indagine stessa.
Prova ne sia la sua famosa indagine sull'oblio, le cui tre forme hanno permesso di allargare il pensiero attorno a un concetto complicato, partendo dall'esperienza di popoli diversi per arrivare peraltro a un ripensamento - quasi iconoclasta - della Recherche proustiana. Ma viene soprattutto in mente Le tre parole che cambiarono il mondo, una favola dai toni cupi e apocalittici - in cui il Papa afferma durante la messa pasquale l’inesistenza di Dio - che permette di gettare le basi di un'utopica società basata su non-violenza, fratellanza e felicità. La stessa felicità che appare solo agli occhi dei più saggi, e che si manifesta tramite frammenti, come visi, libri, canzoni, film, prime volte e sguardi in Momenti di felicità, dove si annovera pure un suo personalissimo omaggio a ciò che nella vita gli è stato offerto dal Bel paese.
Marc Augé ha avuto quindi il buon senso di uscire dal suo tracciato senza mai dimenticarlo, e di ritornare sempre a quel percorso che gli permetteva di osservare la società da una prospettiva silente che era solo la sua, anche quando si sedeva nei luoghi densi di vita e di letteratura come raccontato in Un etnologo al bistrot.
Insomma, trovando un nesso tra geologie interiori e geologie sotterranee, Marc Augé è riuscito nella grande impresa di rifocalizzare l'essere umano nel suo centro, rimettendolo allo stesso tempo in gioco in un contesto più ampio di cui non può che fare parte. L'eredità che ci lascia sta proprio nel poter prendere l'umanità tutta, ma a patto di considerarla davanti alla relazione fra i gruppi, davanti a complessi e ultracontemporanei riferimenti socioculturali.
Marc Augé è stato quindi uno dei più grandi pensatori, nonché teorizzatori della condizione umana nello spazio, nel tempo, e nelle società del più ampio strato e varietà. Oltre che ringraziarlo sommessamente per averci permesso di allargare e - si spera sempre - di migliorare le nostre menti, gli auguriamo un buon viaggio in quello che lui stesso, molto probabilmente, avrebbe definito un non-luogo, privo di tempo e di storia.