di Luca Bonifacio
Giorni febbrili quelli della rentrée. Tra festival letterari, novità in libreria e importanti rassegne cinematografiche, le attività non mancano di certo. Nemmeno il tempo di andare al Festivaletteratura di Mantova, infatti, per ascoltare la significativa quanto seducente riflessione sull'illusione ucronica, su come avrebbe potuto essere il mondo, a proposito del saggio Ucronia, scritto da Emmanuel Carrère ed edito sempre da Adelphi, che nelle sale cinematografiche italiane è appena uscito l'adattamento cinematografico di Limonov: il film tratto dall'omonima biografia romanzata del poeta e dissidente sovietico ?duard Limonov, scritta proprio dall'autore francese.
Ma chi era Limonov? Un teppista? Un criminale? Un estremista? Un poeta? Un pazzo? Se ripensiamo a tutti i personaggi che ci hanno stimolato e ispirato un profondo senso di empatia negativa, ?duard Limonov (pseudonimo di Eduard Veniaminovi? Savenko) è forse uno dei più illustri, dei più complessi, dei più viscerali della lunga lista che ci viene in mente. In primo luogo perché è tutto tranne che un personaggio inventato. Limonov è stato infatti tante cose in un ordine sparso e sfuggente: militante rivoluzionario e idolo dell'underground sovietico durante il governo Bre?nev, senzatetto e poi maggiordomo di un miliardario di Manhattan, lanciatissimo scrittore nei salotti parigini, mercenario nelle guerre nei Balcani, leader di un partito nazional-bolscevico nella Russia del postcomunismo, editore di un organo di stampa (Limonka) presentato al mondo come una fanzine punk-rock, prigioniero nel carcere di Lefortovo, poi Saratov e infine nel campo di lavoro di Engels, intellettuale rockstar che ha imparato la meditazione a tal punto da raggiungere, a detta sua, il nirvana.
Quella di ?duard Limonov è stata infatti una vita “pericolosa”, “ambigua”, come l'ha definita Carrère. Una vita appassionante di una voce dissidente, paradossalmente e costantemente avversaria dell'establishment culturale e politico, a suo agio piuttosto con gli oppressi e gli emarginati, contro il sopruso dei potenti sui più deboli. Una vita che diventa anche il riflesso del secondo Novecento in tutta la sua complessità, del disfacimento turbolento dell'Unione Sovietica, della Storia insomma per come è andata e che, a pensarci bene, ha ancora pienamente a che fare, più di dieci anni dopo dalla stesura del romanzo, con il nostro presente.
Una vita, dunque, fatta di ?avventure?, raccontata dall'autore di Vite che non sono la mia, Yoga, V-13 in un vero e proprio romanzo “russo”, esplosiva quanto corrosiva, pericolosa quanto ambigua, ripercorsa da Carrère partendo dal 1964 per arrivare al 2009, in un alternarsi di spazi, decenni e situazioni talmente disparate e incoerenti da fare di Limonov un personaggio stranamente ipnotico, quasi picaresco nelle sue turbolenze fra Parigi, New York, Balcani e Russia. Un personaggio capace di entrare a pieno titolo nel palmarès di figure puramente “romanzesche”, o meglio la cui vita ha qualcosa di estremamente romanzesco. Una vita che la penna di Carrère riesce a mescolare con le sue vicende personali in modo oscuro e decisamente postmoderno, lasciando così a noi lettori una libera sospensione di giudizio davanti alle porte aperte della Storia.
Dopo un lungo passaggio di consegne, il film, distribuito in Italia da Vision Distribution, è stato diretto da Kirill Serebrennikov e presentato alla 77a edizione del Festival di Cannes. Serebrennikov, già regista di La parola di Dio e La moglie di Tchaikovsky, ha ripreso in mano il libro, la vita apparentemente impossibile di ?duard Limonov, grazie a un progetto audace e complesso, ricostruendo la storia del poeta e oppositore russo, nato nelle strade e divenuto una star, e intrecciandola agli amori avuti in giro per il mondo. Un progetto affidato, peraltro, alla coraggiosa interpretazione di Ben Wishaw, uno dei più amati attori britannici della sua generazione grazie a performance che l'hanno visto prendere le vesti di assassini dotati di olfatto fuori dal comune (Profumo – Storia di un assassino), di storici personaggi di Ian Fleming (Skyfall, Spectre, No time to die), di giovani incagliati in complesse e turbolente relazioni sentimentali (Passages). E a proposito di personaggi, veri o finti che siano, nella pellicola diretta da Serebrennikov non poteva di certo mancare un cameo dell'autore Emmanuel Carrère, interprete di se stesso là dove era probabilmente cominciato il romanzo, nei quindici giorni in cui decise di farsi raccontare la storia per come è andata proprio da Limonov, a Mosca. Insomma, una mise en abyme degna del miglior Carrère, autore capace di entrare e uscire nelle opere di finzione a piacimento, parlare di se stesso mentre si parla di altri e viceversa, assumere posture impensabili e apparentemente bugiarde dandoci improvvisamente, però, uno strano e molto veritiero “tu”.
La vicenda di Limonov non sarà infatti ucronica, non sarà un mondo come avrebbe potuto o dovuto essere, una vita possibile e alternativa che sogniamo o paventiamo, ma ha sicuramente avuto tutte le carte per superarla, la finzione, e resistere impavida nella storia dei personaggi più elusivi che ci abbia regalato la letteratura contemporanea. Tanto da diventare un film, va da sé.
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In copertina un frame del film © WILDSIDE