Se c'è qualcosa che Cocteau sembra aver avuto fin dal principio, quelle sono le idee chiare. Abile nell'individuare il talento e lasciarsene espandere, amava la vita oltre misura per le sue immense opportunità creative. L'amicizia con Picasso perseguita con caparbietà, l'affinità elettiva con Proust, il confronto con André Gide e la simpatia per Edith Piaf, la collaborazione con Blaise Cendrars e l'amore per Jean Marais e Raymond Radiguet, l'ammirazione per Erik Satie e Igor' Stravinskij, il teatro alla Comédie-Francaise e il cinema con "La bella e la bestia", l'affetto per Max Jacob e la vicinanza transculturale con Kiki de Montparnasse: tutto nella vita descritta da Schembri ruota intorno a occasioni imperdibili colte al volo. Da Djagilev e i Balletti Russi a Man Ray e Modigliani, da Ezra Pound e T.S. Eliot a Guillaume Apollinaire, passando per l'ammirazione di Proust e il disprezzo di Breton, il Dorian Gray della cultura francese indaga ogni forma artistica dell'età d'oro parigina del Novecento, superando le guerre, lottando con la dipendenza dall'oppio e ritraendo la «morte al lavoro» in una battaglia all'ultimo sangue contro l'ottusità degli insensibili. Cocteau racchiude in sé la meraviglia proteiforme dell'artista totale: poeta, saggista, drammaturgo, sceneggiatore, disegnatore, librettista, regista cinematografico, pubblicitario, decoratore, imitatore, talent scout e attore... Esplorando trasversalmente tutte le forme ed esaltandone il meglio, non rimane intrappolato in nessuna di esse, anticipando il genio e la factory di Andy Warhol. Di classe elevata, si sottrae a ogni classificazione attribuendo alla creazione artistica l'unica vera nobiltà. Laddove «il genio è una questione di dosaggio e di lenta evaporazione». Introduzione di Marco Ongaro.