Nel 1848, l'anno delle barricate europee contro il dispotismo e la tirannia, i popoli reclamano democrazia, libertà e migliori condizioni di vita. Il Cilento, la terra della protesta continua e vivente, martoriato e indomito - definito dalla polizia borbonica «la terra dei tristi», dei ribelli e delle rivoluzionari - insorge. Il 1848 rappresenta la primavera e la rinascita del popolo cilentano, che non temere la repressione borbonica, che vent'anni prima era stata dura e spietata. L'insurrezione costringe Ferdinando II a concedere la Costituzione, che per i contadini significa il diritto alla terra. Quando il re di Napoli non riconosce più la Costituzione, il Cilento - dove il grido di libertà ha un antico e fortissimo fascino - prende le armi. Ad animare la rivoluzione è il deputato Costabile Carducci, di Capaccio, fatto assassinare da un sanguinario prete di Sapri. Il processo agli assassini di Carducci dura trentacinque anni, sia per l'interessata lentezza della magistratura borbonica sia per l'incomprensibile lentezza e complicità della giustizia dell'Italia unita. Nessuno dei colpevoli pagò per il barbaro e vile assassinio del parlamentare cilentano.