Nel cuore dell'area grecanica della Calabria meridionale, tra Gallicianò, Condofuri e Bova, dove è ancora parlato un lessico ellenofono (oggetto di studio del filologo-linguista-glottologo tedesco Gerhard Rohlfs, che fu docente di filologia romanza all'Università di Tubinga e all'Università di Monaco di Baviera), la cui conservazione è stata favorita dall'isolamento plurimillenario di quei luoghi e dal ricordo della tradizione della Chiesa Orientale, con le sue liturgie greco-bizantine perpetuatesi fino alla definitiva imposizione del rito latino avvenuta nel 1572, ha svolto il suo ministero sacerdotale, tra l'inizio e fino alla metà degli anni '60 del Novecento, un singolare prete di campagna, don Antonio Asprea. L'impegno dell'autore, che si è già avvalso degli studi del filologo e grecista Franco Mosino, dello storico-economista Fulvio Mazza, del glottologo-antropologo Giuseppe Tripodi e, in questa seconda edizione, di quelli del giornalista-scrittore Antonio Chilà, ha consentito di recuperare dalla memoria collettiva delle comunità dell'isola ellenofona la figura di questo arciprete, noto anche per la sua formidabile capacità di bere copiose quantità di vino di Bova e di Palizzi, pur apparendo sempre lucido e sobrio, protagonista di un episodio avvenuto in Aspromonte durante l'ultimo conflitto mondiale, noto come "L'oro della Madonna del Santuario di Polsi", ma famoso, soprattutto, per l'anomalia dei numerosi figli procreati nella convivenza more uxorio con la perpetua. È proprio questa sua singolare situazione familiare, contestualizzata in una realtà influenzata dalla tradizione greco-bizantina della Chiesa orientale (nella quale era usuale che il protopapa avesse moglie e figli) sul cui sfondo si svolgono le vicende narrate, ad essere sdoganata, dopo vari periodi di allontanamento decretati per motivi disciplinari, come sui generis. Quanto all'obbligo del celibato, proprio del clero latino, tornato recentemente di attualità con la questione del clero uxorato nell'Amazzonia (Querida Amazonia), vengono messe a confronto le altre confessioni cristiane. Nonostante il comportamento di don Asprea fosse palesemente in contrasto con la disciplina propria cui è sottoposto il clero della Chiesa di Roma, questo personaggio si è imposto all'attenzione dei contemporanei per il suo indiscutibile carisma, così come testimoniato ancora oggi da numerosi racconti che ne accrescono la fama. Al riguardo, diedero ulteriore lustro alla sua poliedrica e creativa personalità la nomina a Canonico del capitolo della cattedrale di Bova e i titoli onorifici, prima di Cavaliere e poi di Commendatore, del cavalleresco "Ordo militaris ac hospitalarius de Sanctae Mariae de Bethlehem". Degno di nota è il rapporto di antica amicizia intercorso con il cardinale Camerlengo, S.E. Ill.ma e Rev.ma arcivescovo Alfredo Ottaviani, protettore dell'Ordine Betlemita. La figura del Canonico Commendatore -tra luci e ombre- è tuttora ricordata in quel territorio anche per la sua rinomata abilità di oratore sacro, nonché attraverso numerosi aneddoti, tramandati oralmente con varie coloriture e varianti popolari, che lo rendono quasi un personaggio leggendario.