"Era un piovoso pomeriggio del dicembre 2008. Il Naviglio splendeva come una stella in cima all'albero di Natale". Massimo Cotto entrò quel pomeriggio, in punta di piedi, in casa di Alda Merini: "più che una casa, un rifugio dalla tempesta della banalità. Volevo conoscere una delle più grandi scrittrici del Novecento, la cui poesia è sempre stata vicina alla musica e alla forma canzone che amo, nonché autrice di versi che - allo stesso modo di una canzone di Springsteen - mi hanno salvato la vita: A me piacciono gli anfratti bui/ delle osterie dormienti/dove la gente culmina nell'eccesso del canto". "Per tutta la durata dell'incontro alternò infiniti registri: quello della burattinaia di parole che ti prende in giro in continuazione, quello serio di chi ti consegna frasi scolpite nella pietra, quello disincantato di chi accetta la propria genialità come dono ma anche dannazione". Tutto il resto non si può riassumere né raccontare: va solo letto, nel religioso silenzio dello sguardo.