"Per ultimo, Vito mi disse il nome di Giovanni Falcone. Mi ricordai del fallito attentato nella sua villa dell'Addaura e, come in un flashback, sentii le sirene. In quel momento alzai lo sguardo verso l'orizzonte, come in cerca di qualcosa che potesse convincere Vito a lasciar perdere quell'incarico così pericoloso, e notai delle nuvole nere che avevano oscurato il cielo azzurro." Con queste parole, Rosaria Costa, vedova dell'agente Vito Schifani, caduto con Falcone a Capaci, rievoca il momento in cui il suo giovane sposo le disse orgoglioso che sarebbe entrato nella scorta del giudice. La storia è poi tragicamente nota e tutta l'Italia ricorda il suo grido di dolore che ai funerali di Stato scosse universalmente le coscienze. Come racconta per la prima volta in questo libro toccante, Rosaria Costa all'inizio rimase in Sicilia, lei che, provenendo da una famiglia modesta e onesta, era cresciuta nello spietato contesto della "Palermo di un morto al giorno". Voleva lottare, reclamare il proprio diritto ad avere Giustizia, e per questo si avvicinò a Borsellino legandosi a lui, ma la strage di via D'Amelio rinnovò presto lo stesso dolore. Gli anni successivi, segnati dall'arresto di Totò Riina, la videro sempre in prima fila in quella che, da allora e ancora oggi, lei interpreta come una missione di testimonianza. Arrivò anche un giorno in cui per Rosaria rimanere in Sicilia non fu più sostenibile e si trasferì in Liguria per costruirsi una nuova vita, dopo la devastazione di tanto indicibile dolore. Ma oggi è riuscita a tornare nella sua terra d'origine, come donna nuova e come testimone diretta di un'epoca drammatica, consapevole di dover continuare a tenere alta la bandiera della legalità.