Emanuel aveva quattordici anni quando è arrivato all'ospedale dove Marina era in missione, a Bangui, e quattordici ne aveva un mese dopo quando se ne è andato per sempre. Lui, Dawood, Farid, Abdullah sono alcuni dei bambini che Marina ha incontrato nella sua attività di infermiera di guerra. Bambini che non possono giocare, correre, vivere davvero la loro infanzia, per colpa della guerra. O per colpa della povertà. O di entrambe, visto che vanno a braccetto. Li ha visti arrivare negli ospedali di Emergency in Afghanistan, portati in braccio in una corsa affannosa da genitori disperati. Li ha incontrati in Sierra Leone, in Libia, in Kurdistan, o tra le onde del Mediterraneo. Li ha visti silenziosi, chiusi nel dolore e nella rabbia, e poi, inaspettatamente, sorridenti e grati di essere ancora vivi. Sono le vicende di questi bambini a costruire una narrativa indimenticabile. E a farci capire che se ognuno di noi accogliesse nella propria storia un pezzetto di un'altra storia, il mondo non sarebbe perfetto, ma sicuramente migliore. Con una nota di Cecilia Strada.