Spartaco nasce nel 1919, in pieno Biennio Rosso. Fosse nato un paio di anni dopo, se lo sarebbe sognato un nome così. Si becca in pieno tutta l'istruzione fascista, fino alla seconda magistrale, che peraltro gli servirà per imboscarsi in fureria quando, nel marzo del '40, va sotto le armi. È lì che lo scova la guerra. A Natale del '41 parte da Vicenza per la Croazia «quasi contento perché stanco della vita ormai monotona del distretto». Da ora in avanti ha poco da annoiarsi: 18 mesi di dura repressione dei partigiani jugoslavi, 19 nel lager di Blumenthal. Gli resta il gusto della scrittura. Scrive a casa qualcosa come 327 lettere, e tiene un diario, straordinario, perché Spartaco sa scrivere. Racconta in modo leggero e immediato gli avvenimenti, le emozioni e i pensieri che si agitano nella sua e nelle teste dei commilitoni. Ne vien fuori una storia tragica e sorprendente perché tocchi con mano la nefasta banalità del male, ma ne emerge altresì la sconcertante banalità del bene, come osservò Deaglio che, intervistando Perlasca, giusto tra le nazioni per aver salvato migliaia di ebrei, si sente rispondere: «perché lei, al posto mio, non avrebbe fatto altrettanto?».