«La follia e l'orrore hanno attanagliato la mia vita» scriveva Carrère presentando "Un romanzo russo" ai lettori francesi. Un giorno, però, dopo aver concluso la stesura dell'"Avversario", alla follia e all'orrore decide di sfuggire. Trova un nuovo amore e accetta di realizzare un reportage su un prigioniero di guerra ungherese dimenticato per più di cinquant'anni in un ospedale psichiatrico russo. Arriva così in una cittadina a ottocento chilometri da Mosca, dove tornerà poi una seconda volta, ad aspettare, quasi in agguato, che accada qualcosa. Qualcosa accadrà: un delitto atroce. La follia e l'orrore l'hanno dunque «riagguantato». Anche nella vita amorosa: un racconto erotico scritto per gioco, per «fare irruzione nel reale», precipita lui e la sua compagna in un incubo destinato a devastare le loro vite. Nel frattempo, il viaggio in Russia ha messo fatalmente in gioco le sue origini e il suo rapporto con la lingua della madre - e Carrère comincia a indagare su quello che gli «è stato proibito raccontare»: «il fantasma che ossessiona la nostra famiglia». Per esorcizzare quel fantasma compirà «un oscuro percorso nell'inconscio di due generazioni», che lo porterà alla resa dei conti con un retaggio «di paura e di vergogna».