Federico III di Trinacria, figlio della Regina di Sicilia Costanza di Svevia, divenne, alla morte del padre Re Pietro, l'unico signore dell'isola, in contrasto con gli Angioini di Napoli, titolari del reame dato in feudo dalla Chiesa. Cognato di Re Roberto d'Angiò, e zio di Carlo di Calabria, non si trattenne dalla guerra che scaturì fra eredi di diversa stirpe, benché le Regine trattassero la tregua. Qui entra in scena il bel Rolando, ovvero Orlando, fratellastro del successore Re Pietro II, ma figliastro senza eredità, allorquando si schierò contro la sovrana matrigna, creando non poche scaramucce in Sicilia, mentre a Napoli favoleggiava la corte d'amore, alimentata dagli ambasciatori fiorentini. Fra i ricchi mercanti toscani primeggiavano i Turinga, frequentatori dei due reami, allorquando Sicilia e Lucca, di partito ghibellino, vollero lo scontro con Napoli e Firenze, sempre più al servizio del papa. I Turinga, tedeschi di Prato, come pure i Bonfiglio, scelsero di stare dalla propria parte, proprio mentre l'eredità familiare fu acquisita dalla bella senese di nome Camilla, da tutti conosciuta come Camiola, che avocò a sé anche le ricchezze di un presunto marito. Fu a quei tempi, quelli in cui ella frequentava la Sicilia per traffici commerciali del padre e del defunto, che la giovane vedova seppe dell'Orlando battuto negli scontri alle Eolie. La flotta di Napoli aveva invaso le coste e preparava la vera guerra con i Siciliani. Rolando, al comando dell'armata isolana, sconfitto nella Battaglia di Lipari, e rimasto prigioniero a Napoli senza che alcun parente l'avesse riscattato, procurò gran tristezza a Camiola, la quale, manifestò palese i propri desideri amorosi, proponendo un contratto matrimoniale in cambio del pagamento del riscatto. Così, mentre il Papa s'inventava i rettori Angioini, a dispetto dei Siciliani, che rifiutavano la Chiesa nel nome dell'indipendenza catalana e del sangue svevo, Napoli liberava l'amato prigioniero, favorevole allo scambio, rimasto fiducioso in gattabuia fino all'arrivo dei soldi. Camiola, che aveva impegnato una fortuna per vederlo libero, se ne fuggì da Siena per Messina, agognando le braccia dell'adorato sposo, marito per procura, il quale, prima del ti amo, era stato chiaro: «Ti sposo se mi paghi la libertà»! Una volta tornato a corte, però, senza più catene ai polsi, il bel cavaliere, cortigiano e blasonato, figlio di Re e con nelle vene il mezzo sangue di Costanza di Svevia, rifiutò le insistenze di Camiola. Alla dama, disperata per l'abbandono, non restò che impugnare il contratto sottoscritto e costringere il marito a quelle nozze forzate, ormai solo per umiliarlo e lavare l'onore davanti al tribunale e a tutta la città. Rimasto senza eredità, essendo fratellastro del vero sovrano di Sicilia, Rolando tornò in sé e chiese scusa, ma fu costretto a subire l'umiliazione del dietrofront di Camiola, almeno secondo il profilo tracciato da Boccaccio. Non gli restò che sposare un'altra donna, dalla quale ebbe quattro figli, guadagnando sul campo le future medaglie e l'ascesa a Governatore di Siracusa per conto del nuovo Re Ludovico. Camiola, ritiratasi fra le mura del monastero di Messina, ritrovò altra fortuna. E di lei non si seppe più nulla.