Attraverso la scrittura di ricordi, riflessioni e, talvolta per sopperire alle parole, di lettere e disegni, Atiq Rahimi propone un racconto intimo e poetico, una meditazione su ciò che resta delle nostre vite quando si perde la terra dell'infanzia. L'autore afghano evoca i suoi esili in un libro che, più che un'autobiografia, è un'erranza che attraversa scritture diverse. "Ho parlato molto della mia terra natia, delle donne biasimate, della guerra che si è presa mio fratello e ha disperso la mia famiglia ai 4 angoli del mondo... Ma non ho mai evocato il mio esilio. Non appena mi appresto a descriverlo sono disarmato, muto, come davanti a un buco nero. L'esilio è una strada senza ritorno. Una volta dentro non si riesce più a disfarsene. Si diventa per sempre un essere errante, da quel momento si è intessuti. Sono come la callimorphe, questa farfalla migratrice dalle ali nere zebrate di bianco che dopo aver lasciato il suo bruco è condannata a volare notte e giorno".