Nel percorso umano e sportivo di Arthur Ashe si intrecciano molte storie. Dalla nascita in una Virginia ancora soggetta alle leggi della segregazione razziale, alle difficoltà di farsi strada nel mondo del tennis, da sempre appannaggio dei bianchi, la vita di Ashe si è scontrata con la fatica di doversi guadagnare il rispetto degli altri. Amato da tutti, corretto in campo e fuori, attento a dare sempre il meglio di sé, il campione di Richmond è stato uno dei tennisti più apprezzati dal pubblico. Vincitore di tre tornei del Grande Slam, capitano in Coppa Davis negli anni di Connors e McEnroe, amico di Nelson Mandela, idolo di tennisti più giovani, nel 1988 contrasse il virus dell'Hiv a causa di una trasfusione, in anni in cui la malattia stava mietendo le prime vittime e portava con sé un immaginario di nuova peste del secolo. Ashe non lasciò che la malattia distruggesse la sua voglia di combattere e negli ultimi anni di vita scrisse questo libro che è insieme un testamento vitale, un racconto del periodo d'oro del tennis e un'autobiografia sincera e struggente. Il libro si chiude con una commovente lettera alla figlia Camera.