E se a reinventare la letteratura fossero proprio quelle tecniche di scrittura rimaste a lungo escluse dal suo campo d'azione, come l'elaborazione testi, la programmazione e la crittografia? Se a dare nuova sostanza all'atto creativo fossero il plagio, l'appropriazione, il furto e quindi, in fin dei conti, la non originalità? In questo libro/manifesto - veloce, provocatorio, a tratti irriverente, ma ricco di riferimenti storici - Kenneth Goldsmith tenta di ripensare la figura dello scrittore (ma anche del lettore) contemporaneo. Non più un genio romantico e isolato, ma un programmatore di linguaggio, un pensatore interconnesso che predispone e si prende cura di una complessa «macchina da scrittura». Il linguaggio è ormai ovunque, i testi si moltiplicano, persino le nostre immagini, i nostri video, la nostra musica, sono fatti di lettere. Di fronte a questa proliferazione, dobbiamo per prima cosa imparare a negoziare e gestire l'enorme quantità di testo a cui siamo esposti. Partendo dal modo in cui le arti visive hanno reagito all'avvento della fotografia, Goldsmith tenta di ripensare la creatività dal suo apparente azzeramento, tracciando una narrazione che attraversa, intrecciandoli, gli ultimi cento anni di storia della letteratura e delle arti visive: dalla poesia concreta fino ai più recenti esperimenti post-internet, dal situazionismo alla videoarte, passando per James Joyce, Walter Benjamin, Jonathan Lethem e Cory Doctorow.