In che modo l'arte contribuisce al vigore della sfera pubblica? E qual è il compito civile che la critica d'arte, intesa nel suo senso più elevato, può svolgere? In questo volume, Michele Dantini prova a dare risposta a tali interrogativi avvicinando artisti per definizione elusivi, come Duchamp e Manzoni, cui sono dedicati saggi di avvincente precisione, e confrontandosi con grandi storici dell'arte (Warburg, Panofsky, Wind, Gombrich e Baxandall; tra gli italiani Longhi) che hanno saputo e voluto essere intellettuali pubblici: non però nel modo immediato e a tratti tirannico della militanza, ma attraverso un complesso intreccio di attualità e inattualità, prossimità e distanza, coinvolgimento e «inflessibile erudizione». Nel prendere spunto dall'attuale crisi della critica, l'autore rifugge il prevedibile lamento sulla «morte dell'esperienza» o la scomparsa degli «intellettuali legislatori». In dialogo anche con storici e teorici come Weber e Mannheim, Momigliano e Berlin, Walzer e Said, Sloterdijk e Habermas, individua costanti, segnala differenze, stabilisce genealogie, con l'obiettivo di restituire una maggiore ampiezza all'attuale discussione sulle discipline umanistiche. Mentre contribuisce a riconoscere nella diaspora culturale tedesca ed ebraico-tedesca l'episodio storico-culturale cruciale del Novecento, "Arte e sfera pubblica" interviene con originalità e autorevolezza sui processi di traduzione transculturale che hanno dato vita alla koinè culturale contemporanea e risponde a una rinnovata esigenza di confronto tra ambiti di esperienza - arte, scienza, morale, religione - che soffrono oggi di un'eccessiva separazione. Sullo sfondo dei saggi raccolti nel volume, la necessità di ritrovare il senso delle profonde differenze esistenti, sino alla prima metà del Novecento, tra cultura europea continentale e cultura americana.