Negli anni Settanta Roma rappresenta un laboratorio artistico d'avanguardia. Lo spazio urbano, inteso come "spazio sociale", diviene per gli artisti un orizzonte in cui testare i limiti della disciplina; un'area in cui dare avvio a processi di reinvenzione creativa insieme alle comunità. Rintracciando i punti di discontinuità e di contatto con il panorama nazionale, il volume si propone di ricostruire le esperienze artistiche romane legate all'operatività estetica, tendenza teorizzata da Enrico Crispolti e presentata alla Biennale di Venezia del 1976. I casi indagati - alcuni per la prima volta oggetto di un approfondimento critico - rispecchiano l'originalità e la complessità della situazione romana: dalle iniziative promosse dal Comune, ai collettivi che si confrontano con la dimensione urbana, agli esempi radicati nel territorio con una forte vocazione sociale. Osservare la capitale attraverso il rapporto tra arte e città equivale allora a indagare, secondo nuove coordinate, Roma negli anni Settanta e la sua natura di "palinsesto".