Il pregiudizio critico circa un Loos inteso agente di un pragmatico raziocinio, ascrive l'architetto a un «protorazionalismo» evolvente verso la matura classicità del Moderno. Probabilmente, sebbene spinga l'opposizione al «tatuaggio» degli oggetti d'uso, alla artisticizzazione dei prodotti industriali operante nelle proposte del Werkbund e di Muthesius, fino al totale diniego della artisticità in architettura, riconosciuta solo nel simbolismo del monumento e dell'opera funeraria, in un indiretto rifiuto del vitalismo espressionista dell'amico Kokoschka, Loos, come Schönberg, in continuità con l'espressionismo, lascia convivere nella sua opera tutte le accidentalità delle cose e gli stessi elementi della singolarità riflessi nelle movimentate articolazioni spaziali dei suoi chiusi interni, con l'aspirazione alla loro chiarificazione negli equilibri di una costruttività logica, onde determinare un sistema normativo complesso in cui muoversi liberamente. Il «pragmatismo» loosiano, attento ai modi storici del costruire, all'artigianale confronto con i materiali in cui allestisce l'abitare, traduce l'idea semperiana, presente altresì negli espressionisti, del condursi della costruzione in uno «Stile» dettato kantianamente dalle forme categoriali,ur-motiven, che improntano il tekton. L'esser fedele ai modi artigiani, la dimensione della sua appartenenza a una tecnica, un linguaggio, non si pone nei termini di un cieco seguire la regola, ma come scelta, un imperativo morale secondo cui proprio l'adesione alla conoscenza della techne, lasci insorgere tyche, il lampo del nuovo, essendo solo la custodia e la cura della tradizione, del suo morire, a esporre ciò che dura, in una monumentalità o, se si vuole, una nuova classicità.