"Algebra e scacchi" non è solo un titolo, non potrebbe esserlo, perché, difficilmente, queste due parole si lasciano "usare" in maniera neutrale: esse sono termini di una lingua esatta nel gioco, come nella vita. Entrambe hanno matrice orientale: l'algebra, in origine un termine medico utilizzato, in arabo, per indicare la ricongiunzione di parti del corpo fratturate e divenuto, in matematica, vocabolo che indica la riduzione delle parti al tutto, cioè dalle frazioni all'intero, di nuovo una frattura risanata. Algebra e ossa, dunque, come scacchi e grano: notissima la leggenda del Re e del sapiente che chiese, come ricompensa per aver inventato il gioco degli scacchi, un chicco di grano per ogni riquadro della scacchiera, raddoppiato per ogni casella successiva. Il sovrano accettò la richiesta, che in un primo momento gli sembrò solo l'offensiva stranezza di un matematico, ma, dopo che l'intera corte dei suoi matematici non riusciva neppure a calcolare quale numero si sarebbe raggiunto occupando l'ultimo riquadro della scacchiera, con suo disappunto, si rese conto che neanche tutto il grano del pianeta avrebbe potuto esaudire quello che, all'inizio, sembrava appena un desiderio bislacco e, alla fine, si rivelava, invece, come una profonda lezione. Meno noti sono altri aspetti di questa vicenda che introducono, direttamente, a ben altro gioco mascherato dietro l'aneddoto.