«A cavallo dei trent'anni vissi un periodo in cui tutto quello che toccavo si trasformava in un fallimento». Paul Auster indaga negli anni del suo iniziale insuccesso e racconta la sua lotta quotidiana per «sbarcare il lunario». Diventare scrittori, dice Paul Auster, significa essere scelti, e non aver più scelta. Da quel momento il tempo si divide tra ciò che si fa per «sbarcare il lunario» e lo spazio prezioso che, di sera o nei fine settimana, si riesce a dedicare alla scrittura. Ricostruendo il suo difficile ambiguo rapporto con il denaro dall'adolescenza alla maturità, Auster affida a queste pagine una parziale autobiografia. Seguiamo dunque il piccolo Paul che, come ogni bravo bambino americano, si offre per spalare la neve dal vialetto dei vicini, e attraverso molte avventure, degne (inaspettatamente) di un vero cultore della «scuola della strada», naviga su una petroliera, fa il centralinista nella sede parigina del «New York Times» o il ghost writer per una ricca americana in Messico. Tutte professioni senza un domani, che però lo arricchiscono di storie e personaggi.