Tra la fine del Cinquecento e l'inizio del Seicento, il più stimato filosofo naturalista dell'Inghilterra elisabettiana, John Dee, con l'aiuto di un cristallo chiamato "pietra divinatoria" parlò con gli angeli a proposito del mondo naturale e della sua fine apocalittica. I resoconti di queste conversazioni con gli angeli costituiscono uno dei più duraturi misteri dell'inizio dell'epoca moderna. Perché un laureato di Cambridge che vantava il titolo di "filosofo della Regina" si dedicò a un'attività così apparentemente inutile e infondata, che richiedeva così tanto tempo? Era forse uno sciocco credulone? Aveva sofferto un crollo psicotico? Possiamo anche volgere lo sguardo al di là della formazione intellettuale e delle sue esperienze personali, e cercare di situare i diari angelici nel più ampio contesto culturale della seconda metà del XVI secolo. Il saggio della Harkness, tra saggezza enochiana e conversazioni angeliche, offre interessanti risposte al riguardo collocando l'opera di Dee nel contesto della fervente vita intellettuale dell'epoca. Come afferma l'Autrice "In ognuna delle sue opere possiamo notare lo sforzo di stendere una scala dal mondo terreno in declino alla volta celeste".