«Per anni non mi sono considerata veramente una pastora, forse per umiltà, forse perché oltre a pascolare le pecore ho sempre avuto anche altro da fare, sia per necessità che per diletto. Più che una pastora, mi sento una pecora. Sarà per quello che finché le mie pecore non hanno mangiato a sufficienza è il mio stomaco che si sente vuoto. Sarà per quello che quando una pecora partorisce capisco guardandola negli occhi se è il caso di intervenire per aiutarla. Riconosco una madre che ha perso il cucciolo in mezzo a migliaia di mamme che belano tanto per fare quattro chiacchiere tra loro. Sento se un agnello ha mal di pancia. Lo sento nella mia pancia, il dolore. Ma forse queste cose le capisco anche perché sono una donna, e una mamma.» Caterina ha una figlia, una laurea in tecniche erboristiche, un quasi diploma al Conservatorio, e fa la pastora transumante. Il suo è un mondo antico, rurale e anticonformista, popolato da gente che non ha voluto adeguarsi alla modernità, impegnata in lavori duri, umili e feroci, a stretto contatto con la natura e con la crudeltà della sopravvivenza. Ce lo racconta attraverso la transumanza con un gregge di mille pecore, tre asini e due cani, dalle pianure friulane alle Dolomiti di Cortina d'Ampezzo e ritorno. Un viaggio ricco di emozioni e fatiche, di incontri, parole sagge, bevute di vino e cantate accompagnate dalla sua allegra fisarmonica.