"Che la città in sé, la vera Dublino, fosse grigia e brutta, in quegli anni Cinquanta afflitti dalla povertà, non intaccava il sogno che ne avevo - e la sognavo anche quando c'ero fisicamente, per cui la banalità del reale si ammantava costantemente ai miei occhi di sommo romanticismo; nessuno è più romantico di un ragazzino." Per il piccolo John Banville, Dublino rappresentava un luogo di incanto e desiderio. Ogni anno, nel giorno del suo compleanno - l'8 dicembre, festa dell'Immacolata Concezione - lui e sua madre viaggiavano in treno fino alla capitale, attraversando all'alba i campi gelati, per arrivare a Westland Row e dare inizio a una giornata di avventure, che includeva un giro di acquisti nei grandi magazzini e una tappa in pasticceria. Anni dopo, Banville si sarebbe trasferito, diciottenne, in città, per vivere in un appartamento un tempo grandioso ma ora fatiscente in Upper Mount Street, dove scriveva, sognava e sperava. Era la metà degli anni '60, un periodo cupo e difficile per la società intera e per l'individuo - quello che lo scrittore avrebbe poi raccontato nella serie di gialli con protagonista l'anatomopatologo Quirke - ma sotto il gelo ribollivano i cambiamenti che presto avrebbero travolto il Paese. Alternando ricordi del passato di Banville e il racconto della città di oggi, questo memoir illustrato è una vivida evocazione dell'infanzia e della memoria - quell'«abisso luminoso» in cui «lavora l'alchimia del tempo» - e un tenero e potente inno a un tempo e un luogo fondamentali per la formazione dello scrittore.